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IV

IL MANOSCRITTO DI OXFORD

 

 

 

 Dopo la panoramica sulla ramificata tradizione francese, è possibile tornare a concentrare l’attenzione sulla versione latina, evidenziando in che rapporto essa si ponga con il testo volgare e quale sia la Redazione con la quale intrattiene più stretti rapporti. L’esame si baserà esclusivamente sul codice conservato a Oxford, per il quale viene fornita una descrizione codicologica e una breve riflessione sul suo ipotetico committente, prima di scendere nel dettaglio delle differenze a livello di contenuto e delle modalità in cui avvenne il passaggio da una lingua all’altra.

 

Analisi codicologica

 Il Canonici Miscell. 388 della Bodleian Library di Oxford è un codice cartaceo della prima metà del XV secolo, esemplato nel nord dell’Italia[1]. Alcune caratteristiche nella rigatura e nella decorazione permettono di distinguere tre sezioni interne al manoscritto.

 La prima sezione (ff. 1-39bis) si compone di quattro quinioni[2], con i relativi richiami collocati verso il margine interno e decorati a penna. Presenta una segnatura a registro che segna i fascicoli con lettere, da a a d. La rigatura è a mina di piombo[3]. La mise en page è a due colonne di 40 righe ciascuna[4]. I fogli subirono un particolare trattamento : furono lisciati prima di ospitare la scrittura. A f. 1r l’unica iniziale miniata L(iber) su lamina d’oro con due brevi tralci vegetali e bottoni d’oro ; è inserita nella colonna e misura l’equivalente di otto righe. Il testo è scandito da rubriche e da iniziali filigranate in blu con decorazioni in rosso e viceversa[5]. Alcune partizioni interne sono segnalate da segni di paragrafo in blu e rosso alternati.

 La seconda sezione (ff. 40-55) è costituita da due quinioni : il primo completo, mentre l’altro (ff. 50-55) venne privato dei quattro fogli finali perché inutilizzati. Per diversi aspetti non si differenzia dalla sezione precedente infatti presenta la medesima filigrana e può essere attribuita allo stesso copista, benché la scrittura, in questo caso, sia di modulo leggermente inferiore. C’è invece uno scarto nella segnatura a registro : i due fascicoli non proseguono la numerazione (e, f) ma sono segnati b e c. Anche la rigatura si distingue, poiché è tracciata a secco ed è priva delle rettrici (il testo è egualmente disposto su 40 righe)[6]. In questa sezione i fogli non sono stati lisciati. La decorazione non cambia molto, ma la filigrana delle iniziali è maggiormente estesa e copre tutto lo spazio a fianco della colonna.

 La terza sezione (ff. 56-63) è costituita da un solo quinione al quale sono stati tolti due fogli[7]. La rigatura è a mina di piombo[8]. La mise en page è a due colonne lisciate di 45 righe ciascuna[9]. Non presenta alcun tipo di decorazione ; le rubriche sono in inchiostro nero e non hanno alcun carattere distintivo rispetto al testo.

 Il codice ha oggi una legatura in pergamena rigida su quadranti di cartone. Sul dorso ci sono parti recuperate da una legatura risalente al XVIII secolo con titoli impressi in oro[10]. Le controguardie e le due guardie (anteriore e posteriore) sono decorate con motivi floreali in viola e oro. Lo stato di conservazione è complessivamente buono, ma ci sono fori di tarlo sul margine inferiore (in particolare ai ff. 40-46) e l’inchiostro ha bucato la carta in alcuni punti della terza sezione.

 Gli aspetti materiali del manoscritto offrono diversi indizi per ipotizzare che esso abbia assunto la struttura attuale già nel XV secolo. Il primo possessore fece copiare, o copiò egli stesso, le due prime sezioni, a poca distanza di tempo una dall’altra. La seconda, come dimostra il salto nella segnatura a registro e la mancanza del richiamo, era in origine destinata ad una diversa serie di fascicoli, ma venne scorporata e legata assieme alla prima sezione. Poco dopo venne aggiunta la terza sezione[11].

 Nel ‘700 il manoscritto fece parte della biblioteca del senatore veneziano Jacopo Soranzo[12] ed entrò successivamente in possesso dell’abate gesuita Matteo Luigi Canonici. Alla morte del Canonici (1806), l’abate Jacopo Morelli, conservatore presso la Biblioteca Marciana, cercò di far rimanere i codici a Venezia, ma gli eredi Girolamo Cardina e Giovanni Perissinotti preferirono soluzioni economicamente più vantaggiose. Fu così che nel 1817 un grosso nucleo della collezione venne acquistato dall’Università di Oxford e andò a costituire il fondo Canonici della Bodleian Library[13].

Contenuto

 Il ms. Canon. Misc. 388 contiene cinque opere di carattere affine, legate assieme non casualmente ma a seguito di una chiara scelta. Si tratta infatti di trattati principalmente incentrati sulle piante, i fiori, le erbe, e sui loro usi farmaceutici e curativi. A parte il Régime - che pur avendo una parte cospicua dedicata a questi temi presenta una struttura più ampia e articolata - le altre opere possono essere classificate nella famiglia degli herbaria :

1. ff. 1ra-38rb : Aldobrandino da Siena, Le Régime du corps [versione latina]

2. ff. 38va-39ra : Virtutes rosmarini

 Breve trattato anonimo sulle virtù del rosmarino. Ne esistono versioni in francese, tedesco, italiano. La tradizione italiana è la più consistente e quindi dovrebbe essere questa la lingua di partenza. Spesso l’opera si trova trascritta in coda al Régime, tanto che si è pensato allo stesso Aldobrandino da Siena come possibile autore. Più consistente l’ipotesi secondo cui l’autore è un monaco inglese che compose il trattato per il monastero di San Salvatore a Settimo presso Firenze[14]. Il nostro manoscritto si aggiunge alla lista dei sei testimoni già segnalati della traduzione latina[15].

3. ff. 40ra-41rb : Ps. Antonius Musa, De herba vettonica

 Tradizionalmente attribuito al medico dell’imperatore Augusto, questo trattato sull’erba bettonica o vettonica (Betonica Officinalis) è in realtà più tardo. La ricchissima tradizione manoscritta lo riporta molto spesso inserito in una più vasta compilazione di cui fa parte anche l’erbario di Apuleio Barbaro[16]. Nel testimone di Oxford la lettera dedicatoria è sensibilmente più corta, e svolge il ruolo di semplice titolo[17].

4. ff. 41rb-55vb : Apuleius Barbarus, Herbarium

 Forse il più celebre degli erbari medievali fu in realtà compilato tra II e IV secolo da un Apuleio - spesso erroneamente identificato con l’autore dell’Asinus aureus - del quale non si hanno notizie biografiche. In un’edizione a stampa del 1543 è chiamato Apuleius Barbarus[18]. Si tratta di un’opera in 131 capitoli che analizza piante ed erbe, indicandone le proprietà terapeutiche e curative. Le fonti principali sono i De re medica di Dioscoride e di Plinio il Giovane. Il testimone di Oxford contiene l’opera nella sua integrità : si apre con il capitolo sulla plantago e finisce con quello sulla mandragola[19].

5. ff. 56ra-60rb : Arnaldus de Villanova, Experimenta et recepta

 Una delle oltre settanta opere mediche del catalano Arnau de Vilanova (1238 ca - 1311), che insegnò a Montpellier, fu medico personale di Giacomo II d’Aragona e godette della protezione di papa Bonifacio VIII. Gli Experimenta costituiscono una raccolta di ricette mediche con le erbe. È un’opera piuttosto tarda, composta a Roma durante il soggiorno presso la corte di Clemente V ; lo stile è diverso da quello usuale, e per questo l’attribuzione è ancora da valutare[20].

Commitenza

 Il primo possessore, che potremmo definire il committente del codice, volle comporre una raccolta di testi di medicina pratica, un prontuario igienico-dietetico di pronto utilizzo. Nella scelta delle opere egli rivela una preferenza per i testi in latino, ed evita di attingere dalla letteratura scientifica in volgare, un genere che nel XV secolo è già discretamente rappresentato. Questa precisa volontà del committente spiegherebbe perché egli, decidendo di inserire nella sua raccolta il Régime du corps, si orienti verso una traduzione latina, mentre l’opera era nota e diffusa attraverso le lingue volgari. Per questo motivo si poteva inizialmente ritenere che l’autore della traduzione potesse essere lo stesso committente, il quale riconosceva il valore del trattato di Aldobrandino, ma non gradiva l’uso del francese e si era quindi impegnato nella traduzione allo scopo di "nobilitare" l’opera[21]. Alcuni punti del testo presentano delle varianti rispetto all’originale francese che sono preziosi indizi per chiarire la questione. Si veda il seguente brano, confrontato con il corrispondente francese :

Et etiam habebit dolorem capitis et lateris dextri a tercia hora noctis ultra et habebit multum palidum et sonpniabit pluviam (f. 8ra).

il aura doleur en la tieste à le seniestre[22] part, de la tierce eure de la nuit en avant, et aura le visage pale et dormira serreement, et sompnira tous jours pluves (Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 47).

 In questa occasione il copista scrive multum evidentemente fraintendendo vultum e non visage, allo stesso modo accade che confonda minimum con nimium (f. 20rb), oppure siccus con ficus (f. 17va). Accade poi che a fronte della frase francese « ii fois le mois » (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 316), il latino riporti un in mensa (f. 3va) che, se non è una disattenzione del traduttore, potrebbe derivare da una lettura scorretta di un originario in mense.

 È facile notare come tali errori abbiano tutti una precisa giustificazione paleografica solo nel caso di una copia dal latino, e se ne deduce che chi scrisse il testo di Oxford possedeva un antigrafo della versione latina. La traduzione era dunque preesistente alla costituzione del codice e il committente si è limitato a trascriverla o farla trascrivere, forse senza metterla in relazione con Aldobrandino da Siena.

La versione latina del Régime du corps

 Al momento del ritrovamento del Régime latino contenuto nel manoscritto di Oxford, la prima naturale curiosità fu quella di stabilire il rapporto cronologico tra le due versioni, francese e latina, e decidere quale era la fonte e quale la traduzione[23]. Come già anticipato, la questione era di capitale importanza, e decisiva sotto diversi punti di vista. Fortunatamente alla soluzione del dilemma si poteva giungere senza eccessiva fatica. Bastava in effetti dare un’occhiata appena più approfondita alle prime trascrizioni del trattato, valutando la patina linguistica del latino, per ottenere la risposta senza arrivare a puntuali confronti con il testo volgare.

 Il traduttore del testo di Oxford rivela fin dalle prime righe una notevole povertà lessicale e si serve di frequente di termini e forme presi a prestito dal volgare. Anche la struttura delle frasi manifesta una palese dipendenza da modelli non propriamente classici, con l’aggravio di frequenti errori nella correlazione soggetto-verbo. Un breve saggio del contenuto, posto a confronto con il testo francese dal quale, come vedremo, esso dipende strettamente, ne fornirà un significativo esempio :

Nunc dicam infirmitates que accidunt ex nimio coitu, nam corpus debilitatur, versus, appetitum, coloris et facit hominem calvum et dolorem fianchi, debilitat nervos et sepe malum anhelitum et totum corpus infrigidat et totum corpus cuiuslibet menbri anichilat et super omnia senestre et destruit naturam generandi (f. 5ra).

Or vous dirons comment et queles maladies avienent par le trop user. Tous li cors en afloiblist, et tote li veue, et tot li talent de mengier, et fait malvaise alaine, et fait malvaise couleur, et fait venir doleur de flans, et foiblece de niers, et souvent avenir mauvaise alaine, et trestout le cors refroide, et les viertus de cascun membre met à nient, et sour toutes coses fait enviellir. Et fait plus, il fait pierdre l’engenrer (Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 29).

 Alla domanda se sia possibile che questo testo latino derivi direttamente dalle opere della tradizione medica araba bisogna chiaramente rispondere in modo negativo. È dunque da escludere che esso possa assumere il ruolo di mediatore tra la tradizione latina di quelle fonti e il testo francese di Aldobrandino da Siena.

 Numerosi sono gli indizi che attestano come la versione latina venne redatta tra XIV e XV secolo, e comunque sicuramente dopo la composizione dell’originale francese. Accade ad esempio che alcuni termini siano evidenti calchi di forme francesi, come avalantur (f. 5rb) da avaler, oppure geunie (f. 7vb) ricavato da jaune. Si trovano inoltre parole attestate sono nel latino del tardo medioevo : camergias, carullas (f. 6rb) ; genollio (f. 6vb) ; copam (f. 7ra). Basandosi su alcune di queste evenienze è possibile inoltre arrivare persino a ipotizzare l’area geografica a cui apparteneva il traduttore, poiché esiti quali fianchi (f. 5ra), anche (f. 6vb), chena (f. 10ra), vanno senza dubbio messi in relazione con l’ambito italiano.

 La difficoltà a destreggiarsi con la lingua latina si rivela poi in alcune inesattezze relative alla traduzione stessa. Vi sono casi in cui il testo originale è travisato, come quando si trova scritto qualiter et quomodo homo debet conservare sanitate et infirmitates promovere (f. 1vb), in cui promovere andrebbe sostituito con removere ; oppure, per quanto riguarda singole parole, labore che diventa calore (f. 7ra). Ma il testo latino "dimentica" spesso le negazioni, cosicché frasi quali et nocent oculis et colori (f. 7ra), riferendosi alle ventose poste sul capo, e vacuacio per ventosa periculosa (f. 7rb), esprimono concetti esattamente opposti a quanto espresso nell’originale francese.

 Stabilito che è il latino ad essere traduzione dal francese, e non viceversa, rimane da rintracciare il ramo della ricca tradizione al quale il testo di Oxford può essere considerato più vicino. Prendendo come riferimento le Redazioni di cui si è parlato nel terzo capitolo, con tutte le riserve lì espresse, si può innanzitutto escludere un diretto rapporto con la Redazione A, in quanto il latino è privo del proemio dedicatorio, cifra distintiva di quel ramo della tradizione. Al contrario stretta appare la relazione con i manoscritti della Redazione B, e per tale ragione si è scelto di condurre l’analisi del testo di Oxford lasciando da parte l’edizione di Landouzy e Pépin, sfruttando invece il lavoro di Garosi, dedicato per l’appunto ad un testimone della Redazione B[24]. In realtà va tenuto presente che, nel capitolo dedicato alla saggina, il testo latino definisce la pianta con due nomi (f. 20rb) : millica, termine presente soprattutto in Italia[25], e roger malle branche ; l’uso di tale denominazione indicherebbe che il testo latino è legato più precisamente alla Redazione B Roger.

 Il testo latino è, come già detto, privo della prima parte del proemio, in cui si narra della committenza dell’opera e si dà una panoramica sul contenuto, tuttavia si apre con un titolo originale, non attestato nei testimoni francesi : Liber medicine in practica de sanitate corporis conservanda et de infirmitate et pestilencia fugienda et de omnibus proprietatibus bladi, liguminum, carnium, volatilium, piscium, herbarum, formagium, fructuum, lactis, ovium, piscium, specierum et de fisonomia (f. 1ra)[26].

 La struttura complessiva del trattato è stata rispettata e si ritrova così la suddivisione in quattro parti, e in ciascuna di esse, ad eccezione della terza, il numero e l’ordine dei capitoli sono perfettamente coincidenti[27]. L’unica differenza sta nel fatto che il latino ha un numero maggiore di rubriche interne, come si nota fin dall’inizio : De elementis (f. 1ra), De divisione dicti libri in quattuor particulasPrima quidem particula (f. 1va), De bono aere (f. 2ra), De malo aere (f. 2ra), ecc. L’inserimento di tali nuove rubriche non avviene tuttavia sempre in modo coerente tanto che, ad esempio, accade che una di esse, De non portante fames, finisca per inserirsi in una frase spezzandola in due : nec debet portare fames [rubrica] quoniam stomachus impletur malis humoribus (f. 2vb). (f. 1rb),

 Maggiori diversità si rilevano nella terza parte, più estesa e con un gran numero di capitoli. L’ordine non sempre corrisponde : i due capitoli De pomis e De pomis granatis sono invertiti (f. 26va) ; i capitoli De lenticula e De faxiolis (f. 25v) sono alla fine della serie dei legumi, mentre nel francese si trovano prima.

 Se c’è dunque una stretta correlazione con la fonte francese, ciò non significa che l’autore della traduzione latina non si sia concesso alcuna libertà. Scendendo dalla struttura complessiva del trattato al suo contenuto, si nota infatti che alcuni passi presenti nell’originale volgare risultano assenti nel latino.

 Una prima serie di lacune si spiega naturalmente con le consuete dinamiche di copia, primo fra tutti il salto di una frase o di una singola parola. A f. 1va, dove vengono presentate le quattro parti del trattato, manca l’indicazione della terza ; nell’elenco dei quattro umori presenti nel corpo umano viene dimenticata la melancolia (f. 2rb) ; nella frase et boni odoris et coloris prout ante diximus (f. 2rb) manca il soggetto vinum

 Ma vi sono anche lacune che rispondono a precise scelte del traduttore. Capita ad esempio che vengano tralasciate le brevi frasi incidentali rivolte al lettore, come avviene nel seguente brano :

Or, doit on savoir ke puisque toutes choses sunt faites des quatre elimens si con vous avés oi et por che cil quatre elimens se remuent tous cors, li uns a nature et se corrumpent, si couvient que toutes les coses qui sunt de ces quatre elimens se corrumpent, aiovenissent et enviellissent et se cangent et ne puent en un estat demorer (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 309).

Set cum omnia facta sint ex predictis quatuor elementis et dicta elementa quatuor sint in mutacione et corrupcione nec possunt in eodem statu permanere (f. 1ra).

 Le due brevi frasi sono state eliminate e in più il concetto espresso nel paragrafo è stato sintetizzato, sfrondandolo da ogni ridondanza, e riducendo in modo cospicuo la sua lunghezza. Questa tendenza si ritrova nel testo latino con notevole frequenza, in particolare quando l’originale fornisce un elenco, nel qual caso il traduttore non esita a depennare alcune voci :

viandes de grosse noreture si con sunt pois, feves, car de boef et tous poissons et autres grosses viandes por che... (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 313).

qui sunt grossi nutrimenti sicut sunt faba, carnes bovine, et pisces, quia... (f. 2vb)

Et ki vorroit asses boire sans en yvrer, si puet user ces coses ke nous dirons si con semenche de caus, comin, amandes parees, mente au sel, aloisne, rue sece, ameos en li auve froide à ieun (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 316)

Et qui vult satis posse bibere absque ebrietate ne autem ieiunus de semine caulis, comino ac mandolis, vischa sicca et aqua frigida (f. 3vb)

 All’inizio del capitolo quinto della prima parte, in cui il francese parla di una serie di mestieri, il traduttore latino arriva al punto di saltare del tutto quell’elenco e di limitarsi a nominare dei generici artifices (f. 4rb) senza specificazione alcuna. Inoltre il testo latino taglia spesso i riferimenti ad altri capitoli (« les enesgenemens que vous desimes ou capitre dou travailler » - Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 320 - frase assente nel latino) oppure ignora le citazioni di autorità (« li saigniers wide les humors ki sunt dedens les vaines ki vont par tout le cors si con dist Avicenes » - Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 323 - viene resa così : Diminucio sanguinis vacuat humores qui sunt intra corpus, f. 5va, tralasciando il nome dello studioso arabo).

 Si è visto come il traduttore non esiti ad accorciare interi paragrafi, ma egli arriva addirittura a eliminare quelli che evidentemente riteneva di minor interesse. Quindi se da un lato il numero dei capitoli è il medesimo, dall’altro il testo latino risulta più corto, per effetto del tentativo di estrapolare i concetti, tralasciando tutto ciò che vi sta attorno. Ne deriva uno stile scarno, diretto al succo del discorso, e privo di qualsiasi velleità letteraria.

 A tale proposito c’è da chiedersi se già l’antigrafo latino presentasse queste lacune, o se al contrario esso fosse una traduzione completa, e sia stata volontà del nostro committente ridurne alcune parti per mirare al contenuto. Naturalmente la domanda rimane senza risposta. Tuttavia anche il De herba vettonica, trascritto dalla medesima mano, presenta un’epistola dedicatoria ridotta a breve appendice iniziale, a semplice titolo, e verrebbe spontaneo scorgere in questa evenienza il segno di una medesima volontà di eliminare dai testi ogni elemento accessorio, perché l’interesse verso le opere è limitato al contenuto ed è sostanzialmente indifferente alla loro forma.

 Ma veniamo infine alle vere peculiarità della traduzione latina rispetto alle edizioni dell’originale francese. Si tratta di particolari punti del testo che potrebbero divenire indizi importanti per definire con maggior precisione il rapporto del manoscritto di Oxford con la tradizione francese, ma soprattutto per dare una nuova e più convincente fisionomia alla tradizione stessa.

 Si è già visto come il testo latino si discosti dal francese soprattutto per questioni di forma e le variazioni sono essenzialmente tutte "per difetto", ossia il traduttore quasi sempre toglie piuttosto che aggiungere. In effetti i casi contrari sono davvero rari :

Deus qui summa potestate mundum totum creavit, et primitus celum, et post hoc mundum, quatuor elementa... (f. 1ra)

Dieux ki par sa grant puissance le monde establi, ki premierement fist le ciel, apriès fist les quatre elimens (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 309 ; cfr. Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 4)

Et ideo oportet rebus uti secundum naturam uniuscuiusque quia longus usus ubique valet ius et racione, preterea quod dicit Avicenna qui longo tempore usus fuit malis cibis, est certum incurrere malis humoribus (f. 3ra)

Et por che, cocient les grosses user selonc che ke li nature cascun le requiert car lontains us, vaint droit et raison par tout (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 315 ; cfr. Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 16)

 Altrettanto esigui sono i brani in cui il latino corregge o migliora il senso dell’originale. Un caso significativo si ha nel prologo, dove vengono elencati gli esseri creati da Dio prima dell’uomo :

Ut sunt herbe, arbores, aves et omnes bestie, pisces et boves, que omnia ante hominem creavit (f. 1ra)

Si con sont herbes, arbres, oisielet toutes bestes, poissons et homes et fist toutes ces choses premierement avant k’il faist l’ome (Garosi, Aldobrandino da Siena, p. 309 ; cfr. Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 4)

 Chiaramente non aveva senso includere gli « homes » in questo elenco, e infatti il latino offre una soluzione maggiormente convincente. Va inoltre rilevato che la soluzione del latino non risulta in alcuno dei testimoni francesi consultati. Qui allora si solleva un problema che riguarda più in generale il rapporto del manoscritto di Oxford con il suo antigrafo latino e con il testimone francese da cui essi discendono. Queste correzioni, ma d’altre parte anche gli errori o le lacune già citati, vanno attribuiti al traduttore o a un non identificato esemplare del testo francese ? Come si vedrà anche oltre, il testo latino mostra di legarsi ai diversi testimoni francesi in modo discontinuo, per cui non è stato possibile accostarlo ad una delle Redazioni in maniera univoca. Ripetendo che tale impossibilità è per molti versi da attribuire alla scarsa efficacia della suddivisione della tradizione francese finora proposta, si ripresenta la necessità di studiare i codici elencati nel precedente capitolo, anche per vedere se uno di essi possa più degli altri dimostrarsi alla radice del ramo da cui deriva il testo latino di Oxford.

 Numerosi sono i punti in cui il testo latino si comporta in maniera schizofrenica rispetto alle Redazioni A e B, seguendo alternativamente ora una ora l’altra, senza permettere di stabilire una chiara correlazione. Vale la pena di segnalare, in conclusione, il seguente passo : alie gentes sunt iuvenes non attingentes annis xiiii (f. 5vb) ; a fronte di esso nell’edizione di Garosi si dice 24 (Aldobrandino da Siena, p. 323), il testimone A parla di 13 anni (Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 34), mentre lo stesso apparato critico di quest’ultima edizione afferma che i manoscritti BCD concordano con il latino, riportando 14. Un’ulteriore conferma di un non ancora chiarito rapporto tra i numerosi testimoni del Régime du corps di Aldobrandino da Siena.



[1] Il manoscritto è descritto da Coxe, Catalogi codicum, col. 725. Dal punto di vista codicologico non si tratta in verità di un manoscritto omogeneo, essendo costituito da due unità distinte, la prima corrispondente ai ff. 1-55 (a sua volta composta da due sezioni interne), la seconda ai ff. 56-63. Esse risultano comunque pressoché coeve, e permettono dunque di datare il codice come se fosse un corpo unico.

Il codice misura 296 ´ 220 mm ed è costituito da 64 fogli, numerati nel XIX secolo con cifre arabe poste al centro del margine inferiore. Quello che doveva essere il f. 40 venne saltato, in quanto privo di testo, e fu successivamente segnato come 39bis. I fogli da 60 in poi non sono numerati. Il codice non fu mai rifilato e i fori di rigatura sono tuttora visibili sui tre margini.

[2] La filigrana è una bilancia a piatti triangolari, simile al nr. 2400 in Briquet, Les filigranes, I. Questa tipologia di filigrana è attestata nella prima metà del XV secolo. La medesima datazione hanno altre due filigrane simili indicate I, 67 e I, 69 in Die Wasserzeichenkartei.

[3] Corrisponde al tipo 00E2 in Sautel, Répertoire de réglures, p. 39.

[4] Lo specchio di scrittura misura 184 ´ 128 mm, con il margine superiore di 40 mm e inferiore di 72 mm. Il margine interno è di 22 mm, quello esterno di 70 mm. L’intercolumnio misura 20 mm.

[5] A f. 19vb l’iniziale non è stata filigranata. Quella a f. 37va non fu tracciata, rimane lo spazio riservato e non c’è traccia della letterina guida. L’apparato decorativo fu analizzato da Pächt - Alexander, Illuminated Manuscripts, nr. 779.

[6] Corrisponde al tipo U 00/2 in Sautel, Répertoire de réglures, p. 255.

[7] La filigrana è un liocorno rampante di tipo italiano, simile al nr. 9971 in Briquet, Les filigranes, III.

[8] Corrisponde al tipo P2 00E2 in Sautel, Répertoire de réglures, p. 247.

[9] Lo specchio di scrittura misura 187 ´ 138 mm, con il margine superiore di 31 mm e inferiore di 78 mm. Il margine interno è di 24 mm, quello esterno di 58 mm. L’intercolumnio misura 13 mm.

[10] Si legge : DE RE[GI]M. SANIT. / ANT. MULAE / APUL. PLAT. / ARN. DE VILLANO TRACT. / MS.

[11] È stato ipotizzato che le sezioni fossero state legate nel XVII secolo (Bohigas, El repértori, p. 418), ma il foglio incollato sul verso della guardia anteriore, in cui c’è l’elenco completo delle opere contenute nel codice, risale al XVI secolo. La terza sezione contiene un’opera di Arnau de Vilanova così titolata : Experimenta eiusdem. Qui il copista non aveva avuto bisogno di scrivere il nome dell’autore, evidentemente perché in origine il trattato era destinato ad una raccolta che conteneva altri lavori del catalano. Il pronome eiusdem rivela senza dubbio che gli Experimenta sono stati tolti dalla loro collocazione iniziale per confluire in questo manoscritto.

[12] A proposito della biblioteca di Jacopo Soranzo (1686-1761) si veda Rossi, La biblioteca manoscritta, pp. 3-8, 122-133 ; Mitchell, Trevisan and Soranzo. Il codice di Oxford è segnalato ai ff. 41v-42r del catalogo manoscritto (Venezia, Biblioteca Marciana, It. X, 137) e successivamente anche a f. 154r.

[13] Merolle, L’abate Matteo Luigi Canonici.

[14] Fery-Hue, Le romarin et ses propriétés.

[15] Fery-Hue, Le romarin et ses propriétés, pp. 151-152. Ulteriori testimoni dovrebbero essere : Padova, Biblioteca Civica, C. M. 215, f. 54r ; London, British Library, Royal 12.G.IV, f. 185v (cfr. Warner - Gilson, Catalogue of Western Manuscripts). Rispetto al testo del ms. Berne, Burgerbibliothek, 594 (pubblicato da Fery-Hue alle pp. 178-179), il testo di Oxford presenta i capitoli in un ordine leggermente diverso ed è privo del cap. 23 ; ha due capitoli in più, di cui uno piuttosto lungo (il quarto, a f. 38va). Incipit : Recipe flores rosmarini et fac bulire in aqua in lineo panno ligatos. Explicit : Item faciunt si buliantur in lacte caprino.

[16] Howald - Sigerist, Antonii Musae. L’edizione del De herba vettonica si trova alle pp. 1-11.

[17] Incipit : Anthonius Musa Agripe magno Cesari Augusto salutem. Hoc cure mee experimentum ex omnium medicorum disciplina et usu ordinatum me velut semper presentem herbis quare virtutes et effectus betonice volui intimare. Explicit : Ad podagram herba betonica decocta ad terciam atque potui data ipsaque trita et imposita mirifice dolorem tollit. Nos ipsi experimenti sumus et affirmamus. Expliciunt virtutes herbe betonice.

[18] Fu pubblicata a Parigi da Drouart (cfr. A Catalogue of Sixteenth Century, nr. 233).

[19] Incipit : Apuleius plato ad cives suos. Ex pluribus paucas vires herbarum et curaciones corporis ad fidem veritatis adductas. Explicit : mellis coctus ad medicine usum reponatur radices etiam sicce reservantur. Explicit liber Apulei platonis medicine herbarum. Infinitas gracias deo. Per un confronto si veda l’edizione Howald - Sigerist, Antonii Musae, pp. 13-225.

[20] Paniagua, En torno a la problématica, p. 16. Incipit : Incipiunt experimenta eiusdem. Sucus lingue canis loquelam mire restaurat. Accipiatur sucus rute et sucus mentasi. Explicit : decocto valet ad dentis dolorem et emplastrum valet ad quodcumque alius dolorem. Explicit experimenta magistri Arnaldi de villa nova.

[21] Una scelta di questo genere viene così giustificata da Cristofano di Gano : « chi sa gramatica o ha scienzia non legge tanto volentieri le cose che sono per volgare » (citato da Vernet, Les traductions latines, p. 236).

[22] Tutti i manoscritti consultati riportano senestre, dunque il dextri latino sembrerebbe una svista del traduttore.

[23] È da escludere una derivazione della traduzione latina dalla versione italiana dovuta a Zucchero Bencivenni, come dimostrano le numerose interpolazioni dovute al notaio fiorentino e assenti sia nel francese che nel latino ; cfr. Baldini, Zucchero Bencivenni, p. 171 nota 293.

[24] L’edizione di Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, si basa sul manoscritto A, mentre Garosi, Aldo­bran­dino da Siena, pp. 307-412, pubblica il testo del codice Sloane 2435 della British Library di Londra, classificato come appartenente alla Redazione B Classica (Fery-Hue, Le Régime du corps, p. 116).

[25] Du Cange, Glossarium, p. 330, s.v. melica.

[26] La mancanza del nome dell’autore può far pensare al legame con un codice francese caratterizzato dall’assenza di un qualsiasi prologo.

[27] In realtà nella quarta parte è stato saltato il capitolo Du lent (cfr. Landouzy - Pépin, Le Régime du corps, p. 198), probabilmente per una svista del copista data la brevità del capitolo stesso. Il capitolo quinto della seconda parte (f. 17va) ha invece una rubrica (De vomitu) che non corrisponde affatto all’originale francese (Coment on doit garder le visage).

 

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Pour citer cet article : Sebastiano Bisson, Una versione latina del "Régime du corps" di Aldobrandino da Siena (Oxford, Bodleian Library, Canon. misc. 388), tesi presso la « Scuola di specializzazione per conservatori di beni archivistici e librari della civiltà medievale » dell’Università di Cassino, 2001.

En ligne : [ http://www.tradlat.org/ecrire/ ?exec=articles_edit&id_article=106]

 

 


Liste de brèves


Docta interpretatio in latinum sermonem

Docta interpretatio in latinum sermonem "Traductions savantes vers le latin" : colloque organisé à l’ ENSSIB les 22 et 23 novembre 2013


Parution récente

Vient de paraître :
Traduire de vernaculaire en latin au Moyen Age et à la Renaissance. Méthodes et finalités. Études réunies par Françoise Fery-Hue, Paris, École des Chartes, 2013, 342 pages (Études et rencontres de l’École des chartes, 42). ISBN 978-2-35723-035-4 - Prix France : 32€


The Medieval Translator 2013

Consacré à la traduction au sens le plus large, le récent colloque du Medieval Translator à Louvain du 8 au 12 juillet 2013 :
The Medieval Translator 2013 / The Cardiff Conference on the Theory and Practice of Translation in the Middle Ages
"Translation and Authority - Authorities in Translation"
fournit de nouvelles contributions sur les traductions de vernaculaire en latin et sur l’apprentissage des langues vernaculaires à l’aide du latin


Une publication récente

Nikolaus Thurn, Neulatein und Volkssprachen. Beispiele für die Rezeption neusprachlicher Literatur durch die lateinische Dichtung Europas im 15.-16. Jh., München, Wilhelm Fink, 510 p. (Humanistische Bibliothek, Texte und Abhandlungen, 61).